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Definire la vita: un insieme di corpi proteici fatti di una o più cellule, con membrane che consentono la comunicazione elettrochimica di informazioni da e con l’ambiente, capaci di evoluzione e riorganizzazione; tali corpi metabolizzano, crescono, si riproducono. Questa è la vita, baby.

E allora noi infiltriamo te, come un guastatore, nella proto-vita. È quella dell’uovo, là dove, come sussura la cantatrice, l’essere sta, senza fare, come in un misterioso labirinto in cui entrano le parole.

Questa non è un’introduzione. È piuttosto un’estrusione, un’uscita drammatica. Eh, già: il guscio dell’uovo è l’interfaccia tra la crescita complessa e il progressivo decadimento. Nasconde, da una parte, la mutazione silenziosa del rosso e del bianco nel rosa della creatura. Dall’altra, la sua frantumazione ha suoni lievi e secchi, come parole scritte sulle foglie, pronte a volare. Bastano i colori dell’autunno e un alito di vento.

L’uovo ha delle assurde pretese; dato che si prefigura come il primo passo verso la vita, si sente di poter chiedere: «Lasciami parlare. Sceglierò con cura sillabe e vocali, per offrirti una materia morbida». Sì, il contenuto dell’uovo è un ambiente semiliquido e appiccicoso, ma tende progressivamente a divenire solido e troppo grosso per i confini. E così scopri che l’uovo si rompe, sempre.

Al diavolo la nascita: chi pensa mai a che fine fanno i gusci dell’uovo? Eppure sono loro il sottile confine tra il sé dell’identità e il sì della vita: si potrà anche sopravvivere, ma il rimpianto del guscio d’uovo rimane stampato negli occhi spalancati degli infanti.

Allora la pittrice di colori si fa incantare dai suoni, e raccatta da terra, al contempo, vagiti e brandelli di gusci, con cui rimonta quadri di fuoriusciti. Li appiccica alle pareti in una sofisticata forma di archeologia del comportamento, così come si ricompone il vaso di coccio di una civiltà perduta, poiché l’involucro conta. Poniti la cruciale domanda: «Cosa c’era dentro?».

Beh, lascia stare. Il passato è landa estranea: le cose si fanno diverse laggiù, e non basta annusare l’aria fuori dell’uovo per sapere come. Osserva: la figura che a quel punto sporge dalla perfezione asimmetrica dell’uovo ne guasta la forma. Guarda un po’, l’estremità grossa sta all’insù, come fuori dal potere della gravità. Chiunque ne esca «osserva un mondo a volte strano, come chi guarda dietro un vetro». 

E starà attento a non calpestare i gusci al primo passo. Silenzio.

   

Gusci è un sistema comunicativo a due vie: le forme e colori dei quadri parlano alle verbalizzazioni, mentre queste iniettano immagini nella mente di chi si trova esposto all’esibizione. L’interazione, mescolata e confusa, porta lo spettatore lontano nello spazio e indietro nel tempo, come se il suo uovo fosse finalmente prossimo a schiudersi.

Si fa una domanda: «E ora, che faccio?».

 

Alberto Salza

Antropologo, 2019

31 marzo - 12 maggio 2019

Orari di apertura

da mercoledì a domenica 15.00 - 24.00

 

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